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Dimissioni dal lavoro durante la pandemia: falsi miti al confronto con i dati

È uscito il Rapporto bimestrale sul mercato del lavoro della Banca d'Italia e Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Da gennaio, alla sua stesura ha collaborato anche l'ANPAL - Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro - con un'analisi delle dinamiche relative alle Dichiarazioni di Immediata Disponibilità al lavoro presentate dai disoccupati. Anche se pensato per gli esperti del settore, alcune delle analisi del rapporto sono interessanti per tutti, perché ci regalano fotografie accurate di quel che ci circonda.

Mollo tutto e apro un chiringuito sulla spiaggia - è stato un mantra per tutto il 2021. Tante le storie che ci sono arrivate di manager, dipendenti o negozianti scontenti che mollavano la loro attività o il lavoro anche ben pagato per trovare la felicità altrove. Iniziando una nuova vita alla riscoperta della natura e di valori perduti. Questi racconti hanno creato l'illusione che effettivamente fossero molte le persone che, dopo la pandemia, hanno lasciato il proprio lavoro senza una reale prospettiva su come e quando ritrovarne uno nuovo.

Parola ai dati - L'analisi dei dati smonta questa narrativa. Nel Rapporto pubblicato lo scorso novembre si legge che le dimissioni volontarie durante i primi 10 mesi del 2021 sono state 777.000, appena 40.000 in più rispetto a due anni prima. Il loro andamento inoltre è strettamente associato a quella della domanda di lavoro a tempo indeterminato, anche perché concentrata nei settori e nelle aree in cui dalla primavera del 2021 sono cresciute le assunzioni di questa tipologia: questo vuol dire - semplicemente - che le persone hanno dato le dimissioni solo dopo aver avuto la certezza di poter iniziare un nuovo lavoro. L'incertezza per il futuro non ha insomma spinto le persone a lasciare il lavoro alla ricerca di altri stimoli o priorità, ma solo nel caso si fosse presentata l’occasione di un impiego migliore.

Insomma, quando leggiamo delle notizie, o assistiamo ad un dibattito pubblico o trasmesso (dalla TV, sui social), che ci raccontano qualcosa su un fenomeno economico che ci riguarda da vicino, il consiglio è sempre quello di cercare fonti affidabili su cui informarsi, conoscere meglio la questione. Quando si tratta di scelte economiche importanti (il lavoro certo, ma anche accendere un mutuo o accedere ad altre forme di finanziamento, o iniziare una piccola attività autonoma), bisogna studiare la questione senza affidarsi a notizie prese da una trasmissione o da un post su un social network. Se pernsiamo di non farcela da soli, chiediamo aiuto ad un esperto (vero!) della materia, di cui ci fidiamo.

La parola chiave

Debunking, letteralmente significa "smascherare", ma in Italia viene (purtroppo) spesso tradotto con il termine sbufalare (da bufala). Sostanzialmente è l'attività di educatori, divulgatori ed esperti di settori nel confutare tesi – talvolta anche strampalate – che hanno ampia diffusione sui mezzi di comunicazione di massa tanto quanto nei social network.

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