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La scelta di come inviare ai propri cari nel paese di origine una parte del denaro guadagnato è probabilmente tra le prime decisioni finanziarie che un emigrato deve affrontare quando comincia a lavorare in un nuovo paese.
Con il termine "rimessa" si indica la parte di reddito risparmiata da un lavoratore straniero e inviata al suo nucleo familiare nel paese di origine.
Pur nella diversità dei singoli paesi, è documentato il ruolo che le rimesse hanno nei paesi più poveri, sia in termini di contributo al sostentamento di nuclei famigliari sia in termini di piccoli investimenti produttivi. Per questo, il fenomeno delle rimesse è oggetto di attenzione da parte di tutti i Governi e degli organismi internazionali come il G20.
Le banche, le Poste e gli operatori Money Transfer (Western Union e Money Gram tra i più noti) sono i canali ufficiali, definiti formali, per effettuare le rimesse. I trasferimenti formali di denaro non rappresentano tutto il denaro inviato all'estero dai lavoratori stranieri, poiché una parte non trascurabile delle rimesse (difficilmente stimabile) giunge a destinazione per vie non rilevate, i c.d. canali informali. Si pensi ad esempio al denaro contante che "viaggia" insieme a merci e persone fra paesi, in modo particolare fra paesi vicini (si pensi ai furgoni o ai bus verso i paesi dell'Europa Orientale o ai viaggi periodici dei migranti stessi o di amici e parenti).
Ci soffermiamo su due tendenze tipicamente italiane.
La prima. I flussi delle rimesse dall'Italia, 6 miliardi di euro nel 2019, sono notevolmente aumentati durante la pandemia. L'emergenza sanitaria ha colpito in modo particolare alcuni settori economici che vedono una presenza significativa di cittadini stranieri, come il settore turistico o quello della cura alla persona. Di fronte a una contrazione della capacità reddituale e a un aumento della disoccupazione ci si sarebbe ragionevolmente attesa anche una contrazione del volume delle rimesse. Se confrontiamo l'andamento dei primi tre trimestri del 2020 con i primi tre dell'anno precedente, ci accorgiamo che dopo una lievissima variazione negativa nel primo trimestre, quelli successivi sono stati segnati da aumenti assai significativi delle rimesse: +36% nel secondo trimestre - e cioè da aprile a giugno, i mesi nei quali le misure di contenimento sono state più dure - e +23,5% nel terzo trimestre. Solo nel secondo trimestre 2020 il valore complessivo di rimesse dall'Italia è stato pari a quasi 2 miliardi di euro (cfr. figura sotto).
Come si spiega questo aumento delle rimesse in un periodo di forte recessione economica? Non abbiamo certezze ma alcune ipotesi ragionevoli sono state formulate. In una intervista pubblicata su questo Portale a dicembre scorso il Direttore del Cespi, Centro di Studi di Politica Internazionale, sottolineava come solo in questi ultimi anni si rilevava l'avvio di una fase di accumulazione di un piccolo patrimonio, condizione fondamentale per ridurre la vulnerabilità finanziaria e favorire un pieno accesso. La crisi pandemica sta intaccando questo processo, costringendo ad attingere alle riserve di risparmio, non solo per le accresciute esigenze in Italia ma anche per le accresciute esigenze nei paesi di origine, ugualmente colpiti, a sostegno delle famiglie.
Un'altra possibile spiegazione dell'aumento delle rimesse durante la pandemia è il maggiore ricorso ai canali formali, più tracciabili, collegato all'impossibilità di viaggiare. Non è poi secondario il fatto che i servizi finanziari siano stati dichiarati sin dall'inizio della pandemia servizi essenziali, e che poste, banche e reti di tabaccai siano rimaste aperte durante il lockdown.
La seconda tendenza sulla quale ci soffermiamo riguarda i costi. Il costo medio delle rimesse dall'Italia - che comprende le commissioni applicate a chi invia, quelle applicate a chi riceve e a il margine del tasso di cambio - è in calo da quasi dieci anni: se prima del 2014 l'invio di una somma di denaro equivalente a 200 euro superava il 7%, nel quarto trimestre dell'anno scorso il costo è sceso al 5,5%. Questo valore percentuale colloca l'Italia ben al di sotto della media del G20, oggi al 6,5%, e in seconda posizione dietro alla Spagna per il costo più basso.
Il nostro paese è dunque vicino a raggiungere l'obiettivo dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostenibile che prevede di "ridurre a meno del 3% i costi di transazione delle rimesse dei migranti ed eliminare i canali con costi superiori al 5%", con un impatto stimato dalla Banca Mondiale di 16 miliardi di dollari in più a disposizione dei destinatari finali.
Una progressiva riduzione dei costi delle rimesse può essere un importante incentivo a utilizzare i canali formali di trasferimento del denaro che espongono a minori rischi di perdita delle somme da inviare e favoriscono una maggiore inclusione finanziaria.