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Nel 2021 per la prima volta a capo del CNR è stata designata una donna; nel 2020, dopo 700 anni l'Università di Roma La Sapienza ha nominato una rettrice donna. Le donne si laureano più e meglio degli uomini, ma continuano ad avere difficoltà ad affermarsi ai vertici delle Istituzioni e delle imprese pubbliche.
E nel settore privato?
Sono ancora molto poche le donne che rivestono ruoli di rilievo all'interno di aziende e che possano definirsi influenti. Tra le poche che emergono e che sono note al largo pubblico possiamo ricordare la fashion influencer Chiara Ferragni, imprenditrice digitale di successo, con oltre 23 milioni di followers su Instagram, di recente chiamata a far parte del CdA di un'azienda importante, i cui titoli sono volati in borsa poco dopo l'annuncio.
Guardando al mondo del lavoro in un'ottica di genere, il rischio maggiore per le donne rimane quello legato alle numerose barriere al loro ingresso e alla minimizzazione coatta dei risultati conseguiti, soprattutto in campo scientifico (il cd. effetto Matilda).
Qualcosa però sembra migliorare. Secondo quanto riportato dal Rapporto CONSOB sulla corporate governance delle società quotate italiane pubblicato di recente, a fine 2020 le donne rappresentavano quasi il 39 per cento dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate italiane. Non è ancora la metà ma è comunque la percentuale più alta mai raggiunta in Italia.
Il merito è anche della Legge n. 160/2019 che riserva alle donne i due quinti degli incarichi negli organi collegiali societari, una quota più elevata rispetto a quella, pari a un terzo, prevista dalla Legge Golfo-Mosca, la 120/2011. Nelle società che hanno rinnovato il consiglio di amministrazione lo scorso anno vi sono in media 4 donne, pari a quasi il 43 per cento del board.
Tuttavia, un migliore equilibrio di genere non è solo merito delle quote rosa: anche nelle società che hanno rinnovato gli organi societari quando non erano tenute ad applicare alcuna quota, la percentuale di donne, non molto più bassa, è pari al 35 per cento. È il segno che è in atto un progressivo processo di riequilibrio delle possibilità di accesso delle donne e degli uomini alle posizioni di vertice delle imprese indipendentemente dall'introduzione di quote vincolanti.
Una più equilibrata composizione per genere nei vertici delle imprese non solo risponde a considerazioni di equità e di inclusione ma è anche un principio di buona amministrazione. Come evidenziato in un recente studio della Banca d'Italia, un incremento della presenza femminile nei consigli delle banche italiane è associato a un miglioramento delle competenze professionali del board, in quanto le donne presentano comparativamente caratteristiche migliori rispetto agli uomini. Inoltre, una più ampia presenza femminile nei consigli di amministrazione ne rafforza l'efficacia del funzionamento, aumentando la partecipazione e il coinvolgimento degli amministratori alle riunioni dei consigli.
La strada per colmare il divario di genere è ancora lunga: le donne incontrano più ostacoli rispetto agli uomini nell'affermarsi professionalmente. Gli stereotipi, i pregiudizi, i ruoli e i vincoli nella famiglia sono ancora tanti. Spesso vi è una sottostima delle proprie conoscenze e competenze. L'innalzamento del livello di cultura finanziaria può rafforzare l'autostima femminile facendo emergere gli incentivi giusti a non rinunciare e anzi ad affermarsi nel proprio lavoro.
Proprio per questo, la Banca d'Italia ha sviluppato un percorso formativo denominato Le donne contano.