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Quando nell'ultima delle sue Sette brevi lezioni di fisica Carlo Rovelli si chiede quale sia, alla luce della teoria della relatività di Einstein e della fisica quantistica, il posto degli esseri umani nel mondo, la risposta che offre è "nodi in una rete di scambi" con tutte le altre piccole parti dell'universo.
Nodi in una rete di scambi lo sono quasi letteralmente i migranti che, anche con le loro rimesse, cioè il denaro che inviano nel paese di origine (spesso gran parte di quello che guadagnano), mettono in contatto mondi molto lontani. I dati della Banca d'Italia pubblicati lo scorso 9 gennaio ci dicono che nel terzo trimestre del 2022 le rimesse in contanti sono state pari a 2,1 miliardi, il 3,5 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2021. I soldi che i lavoratori immigrati trasferiscono verso le famiglie nei paesi di origine rappresentano una voce rilevante nella bilancia dei pagamenti per molte nazioni emergenti. Questi flussi di denaro, insieme agli aiuti internazionali, giocano un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda ONU 2030, e, in particolare, dell'obiettivo numero 10, la riduzione delle disuguaglianze all'interno dei e fra i paesi, anche attraverso il sostegno alla crescita del reddito della popolazione più svantaggiata.
È per questo che l'ONU riconosce il valore delle rimesse, e mira a proteggerlo anche attraverso la sollecitazione a ridurre i costi per il trasferimento del denaro a meno del 3% dell'importo versato entro il 2030.
Secondo l'ultimo rapporto della Banca Mondiale, l'Italia è tra i paesi con i costi delle rimesse più contenuti. Per una rimessa di importo equivalente a 200 dollari, il costo medio - comprensivo delle commissioni applicate a chi invia, a chi riceve e del margine sul tasso di cambio - è diminuito in dieci anni dal 7,5% del terzo trimestre del 2012 al 4,8% del terzo trimestre del 2022, un importo, quest'ultimo, di gran lunga inferiore a quello medio dei paesi del G20 del 6,4%.
Gli effetti dei costi delle rimesse risultano evidenti se ci concentriamo sulle somme in euro che arrivano ai paesi di destinazione. Vediamo un esempio. Prendiamo come riferimento il totale delle rimesse in contanti provenienti dall'Italia nel 2021, cioè 7,7 miliardi di euro. Se i costi fossero rimasti quelli di dieci anni fa (ipotizzando il 7,5% anche per le rimesse diverse da un equivalente di 200 dollari), le commissioni sarebbero state di ben 600 milioni di euro circa e le rimesse giunte a destinazione sarebbero state solo di 7,1 miliardi. Con un costo pari a quello attuale del 4,8%, per trasferire 7,7 miliardi (sempre se tutte le rimesse fossero state equivalenti a 200 dollari ciascuna) si sarebbero pagati circa 400 milioni di euro in commissioni e le rimesse effettivamente arrivate ai destinatari sarebbero state 7,3 miliardi, con un risparmio di circa 200 milioni di euro che, invece di perdersi all'interno del circuito finanziario di trasferimento, avrebbero integrato il flusso netto di risorse finanziare a beneficio dei destinatari. Nonostante questi progressi, rimane da coprire una distanza significativa prima di raggiungere l'obiettivo ONU del 3%, soglia che permetterebbe, sulla base di queste ipotesi, di ridurre i costi a circa 200 milioni e di risparmiarne altrettanti rispetto alla situazione attuale, e quindi, di aumentare il flusso netto di un importo che per molti paesi può fare la differenza (da 7,3 a 7,5 miliardi).
Costi totali rimesse e rimesse nette sotto differenti ipotesi
(dati in milioni, pannello a sinistra, e miliardi di euro, pannello a destra)
Fonte: elaborazione dati Banca d'Italia. Banca Mondiale per i costi in percentuale delle rimesse per un equivalente di 200 dollari. I valori nel grafico rappresentano scenari ipotetici. Non sono rappresentativi dei costi effettivamente sostenuti per il trasferimento delle risorse, che dipendono dagli importi effettivi delle singole rimesse.
Proprio per orientarsi meglio sui costi dei trasferimenti di denaro verso l'estero, su questo sito c'è un calcolatore che aiuta a stimare i costi totali delle rimesse, uno strumento utile per capire dove e come risparmiare nella scelta dell'intermediario.
Se i dati sulle rimesse ci parlano di benefici economici che si diffondono tra economie diverse a livello globale, altri ci dicono di quelli che un'immigrazione regolare e controllata portano al paese di residenza degli immigrati. Secondo il dodicesimo Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione della Fondazione Leone Moressa, presentato lo scorso novembre, il contributo al bilancio dello Stato italiano degli stranieri, circa il 10% degli occupati nel 2021, è positivo. Nonostante la pandemia abbia pesato sul numero dei contribuenti nati all'estero (-1,8% nel 2020) e sull'ammontare di IRPEF versata (-8,5%), la stima delle entrate per lo Stato nel 2020 ha superato i 28 miliardi di euro tra tasse, accise, tributi locali e contributi previdenziali e sociali, un valore in linea con quello dell'anno precedente.
Nel 2020 è invece diminuita la stima delle uscite per lo Stato per l'assistenza e l'accoglienza degli stranieri, anche se sono aumentate le spese per sanità e istruzione (+700 milioni) e previdenza (+400 milioni). Nel complesso il saldo tra entrate e uscite, che stima l'impatto della presenza straniera in Italia sul bilancio dello Stato, è stato positivo per 1,4 miliardi di euro.
Se mettiamo in dialogo questi dati con quanto scrive Rovelli - "le cose del mondo interagiscono in continuazione l'una con l'altra, e nel fare ciò lo stato di ciascuna porta traccia dello stato delle altre con cui ha interagito" - ci appare evidente che il processo di integrazione è inevitabile e può essere molto vantaggioso. Non solo: una maggiore consapevolezza di ciò che essa produce da un punto di vista economico può portare a misure e a comportamenti che ne esaltino i vantaggi (specie a medio-lungo termine) e ne contengano le (spesso a breve medio termine) criticità.