Come valutiamo un prezzo

Dopo anni di onorato servizio, il nostro tostapane si è rotto. Siamo affezionati a quel modello, e puntiamo a riacquistarlo. Ma una volta giunti al negozio, lo troviamo a un prezzo più alto di quello che ricordiamo: per capire se sia troppo caro o meno, ci aiuta il confronto con i prodotti concorrenti. Ma ci aiutano anche i consigli e le esperienze di acquisto delle persone che abbiamo vicino e con le quali parliamo.

La valutazione di un prezzo è una fase fondamentale del processo di acquisto ed è influenzata da molti fattori. Può accadere che mentre noi percepiamo un possibile acquisto come un affare, allo stesso tempo qualcun altro lo giudichi come una spesa sproporzionata. Le differenti percezioni sono il risultato di un'interazione tra fattori oggettivi, come il prezzo dei prodotti esposti davanti ai nostri occhi, e fattori soggettivi, come i nostri frammenti di memoria su ricerche di prezzo passate o sui racconti di altre persone. Ma come elaboriamo e combiniamo queste informazioni?

Dalla seconda metà del Novecento sappiamo che gli esseri umani non prendono decisioni in modo del tutto razionale. Con l'intuizione di Herbert Simon, che negli anni Cinquanta introdusse il concetto di "razionalità limitata", cominciò a circolare l'idea che le persone non si comportano secondo il principio dell'utilità attesa, cioè non scelgono sempre l'opzione con il guadagno più alto, perché influenzate da elementi che vanno dalla cultura personale all'ambiente, dall'incompletezza delle informazioni a disposizione alle trappole comportamentali nascoste nella mente.

Si capì allora che per spiegare come gli esseri umani prendono decisioni, anche di consumo, bisognava studiare il comportamento umano. Furono gli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky a formulare, sul finire degli anni Settanta, la Teoria del prospetto, un utile strumento per predire le scelte concrete delle persone, che nel 2002 valse al primo, l'unico dei due ancora in vita, il premio Nobel. Questo modello segnò un cambiamento radicale di approccio. Vediamo perché.

Dalla teoria su come dovremmo comportarci alla realtà di come ci comportiamo davvero

Fino ad allora, si riteneva che una teoria economica potesse avere una duplice funzione: "normativa", cioè indicare come dovremmo comportarci per massimizzare il nostro interesse, e "descrittiva", cioè spiegare come effettivamente ci comportiamo. L'idea alla base di questa convinzione era semplice: se gli esseri umani agiscono razionalmente per perseguire il proprio utile, allora una teoria che spiega qual è il modo corretto di farlo dovrebbe anche descrivere il comportamento reale delle persone.

La realtà, tuttavia, presenta scenari molto diversi. Le persone non sempre assumono la decisione corretta anche quando in teoria la conoscono, proprio perché la loro è una razionalità limitata da tante variabili, alcune insite nelle caratteristiche psicologiche di ognuno, altre proprie della specie umana, altre connesse all'ambiente, e così via.

Kahneman e Tversky compresero che una teoria normativa, cioè contenente una regola per prendere le decisioni, non poteva descrivere come le persone si comportano effettivamente, e la loro Teoria del prospetto fu la prima a rompere con quella precedente impostazione. Nel presentarla, Kahneman e Tversky non mettevano in discussione il fatto che c'è un modo corretto di comportarsi per raggiungere un determinato risultato, ma offrivano un modello per spiegare, e dunque prevedere, come le persone si comportano quando effettuano una scelta.

Quali sono i capisaldi di questa teoria?

L'avversione alle perdite

Le persone sono più inclini a rischiare per evitare una perdita che per ottenere un guadagno equivalente. Gli studi di Kahneman e Tversky mostrano che perdere una certa somma di denaro fa più male di quanto faccia piacere guadagnarla. A parità di importo, una perdita "pesa" circa il doppio di un guadagno equivalente: la perdita genera una sensazione di dispiacere molto più intensa, una sorta di peso psicologico che ci spinge a volerla evitare o cancellare a ogni costo.

L'effetto ancoraggio

Un altro fondamento della teoria è l'intuizione che gli esseri umani fanno esperienza della vita, quindi provano sensazioni, reagiscono e si comportano in base a scostamenti rispetto a un punto di riferimento (effetto ancoraggio). Se passiamo da una stanza buia a una illuminata, la luce ci colpisce; se arriviamo da una stanza già illuminata, non ci facciamo caso. Allo stesso modo, un'entrata finanziaria inaspettata o una spesa improvvisa produrranno uno scostamento rispetto al nostro livello di ricchezza iniziale e, per questo, provocheranno una gioia o un dispiacere. L'intensità di queste emozioni, a parità di scostamento, dipenderà dal punto di partenza, cioè dall'illuminazione della stanza da cui veniamo o dalla ricchezza che possediamo.

Molti esperimenti dimostrano che l'intensità del dispiacere come della felicità per uno scostamento identico differiscono a seconda del punto di partenza. L'esempio classico, risultato da un vecchio esperimento: se stiamo acquistando una giacca da 125 euro e una calcolatrice da 15 euro, venire a sapere che la calcolatrice costa 10 euro in un altro negozio a 20 minuti di distanza induce il 68 per cento delle persone a spostarsi; ma lo stesso sconto assoluto di 5 euro sulla giacca, da 125 a 120 euro, spinge ad andare all'altro negozio solo il 29 per cento delle persone. Stessa differenza in euro, stesso costo di spostamento, ma punto di partenza diverso e, di conseguenza, reazione diversa. Per la maggior parte di noi, risparmiare 5 euro passando da 15 a 10 euro "vale" più che da 125 a 120 euro!

Gli sviluppi della teoria

Per molto tempo si è pensato che il punto di riferimento, o "àncora", fosse lo status quo, cioè la situazione di partenza, ad esempio il livello di ricchezza, nel quale le persone si trovano al momento dello scostamento (come la vincita alla lotteria o l'arrivo di una multa pesante). Studi successivi hanno però mostrato che le aspettative sul futuro giocano un ruolo ancora più decisivo nel definire cosa viene percepito come guadagno o perdita.

Ad esempio, se la nostra casa va a fuoco, subiamo un'oggettiva perdita. Ma se ne usciamo illesi, proviamo sollievo perché l'aspettativa peggiore, quella di perdere la vita, ha funzionato da punto di riferimento. Allo stesso modo, se di fronte a un lavoro perfettamente eseguito riceviamo molti complimenti, ma ci aspettavamo una promozione, i complimenti saranno vissuti come una "perdita" e non un "guadagno".

Quindi, nelle decisioni di spesa l'àncora sarebbe non tanto quanti soldi abbiamo a disposizione, ma il prezzo di listino dell'oggetto o del servizio che vogliamo acquistare (l'aspettativa di spesa). Ne abbiamo scritto nella notizia Perdita o guadagno? La vera natura degli sconti: uno sconto è in grado di farci dimenticare il dispiacere comunque legato alla spesa. Ci rende "felici", perché abbiamo risparmiato, e quindi "guadagnato", rispetto al prezzo pieno.

E quindi, quale prezzo scegliamo?

Davanti a un'opportunità di acquisto, dunque, si attivano una serie di fattori relativi alla mente (avversione alle perdite, punto di riferimento, sensibilità decrescente) e altri relativi al contesto esterno che, combinati, ci aiutano a valutare un prezzo e a decidere se finalizzare o meno l'acquisto. La Teoria del prospetto ci ha rivelato che, in ogni circostanza, c'è una traduzione a livello soggettivo di elementi oggettivi, e che la valutazione del prezzo è il risultato del gioco che avviene dentro di noi sulla base delle emozioni collegate alle idee di perdita e di guadagno.

Di certo c'è che pagare è sempre un'esperienza spiacevole, perché comporta una perdita (nel senso di uscita di denaro): tanto più il marketing e la pubblicità saranno in grado di depotenziare in noi la sensazione di questa perdita, raccontandoci di un prezzo scontato o di un risparmio sicuro, tanto più saremo disposti ad affrontarla!

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