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L'inflazione è l'aumento generalizzato dei prezzi dei beni (cibo, energia elettrica, carburanti, ecc.) e dei servizi (un taglio di capelli, un biglietto del treno, ecc.).
L'inflazione non riguarda quindi il prezzo di singoli prodotti ma interessa molti beni e servizi.
L'aumento dei prezzi diminuisce la quantità di beni o servizi che possiamo acquistare con i nostri soldi: per questo si dice che l'inflazione riduce il valore della moneta nel tempo.
Il contrario dell'inflazione, cioè la diminuzione generalizzata dei prezzi, viene definita deflazione.
Livelli elevati di inflazione e di deflazione sono rischiosi per il cittadino e per l'economia in generale: non a caso la stabilità dei prezzi, cioè un'inflazione bassa, stabile e prevedibile, è uno degli indicatori di un'economia sana.
Chiariamolo subito: misurare l'inflazione non è semplice perché si deve cogliere un aumento dei prezzi generalizzato, cioè riferito a un ampio numero di beni e servizi rappresentativi delle abitudini di consumo della popolazione.
Per questo l'inflazione si misura attraverso la costruzione di un indice dei prezzi al consumo, una media dei prezzi di un insieme di beni e servizi chiamato paniere, il cestino della spesa degli italiani! La media tiene conto dell'importanza dei singoli prodotti e servizi sul totale della spesa. La variazione dell'indice misura la variazione generalizzata dei prezzi, cioè l'inflazione (in caso di aumento) o la deflazione (in caso di diminuzione).
Quindi, se leggiamo che a novembre del 2022 l'inflazione in Italia è stata pari al 12,5% su base annua, vuol dire che tra novembre 2021 e novembre 2022 la media dei prezzi dei beni e servizi del paniere è aumentata del 12,5%.
In Italia, è l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) che ha il compito di aggiornare il paniere, stimare gli indici dei prezzi e calcolare mensilmente l'inflazione.
L'ISTAT produce tre diversi indici dei prezzi al consumo: l'indice Nazionale per l'Intera Collettività (NIC), l'indice per le Famiglie di Operai e Impiegati (FOI) e l'Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato a livello europeo (IPCA). L'esigenza di avere tre diversi indici dei prezzi deriva dal fatto che l'inflazione non è uguale per tutti dato che dipende dalle specifiche abitudini di consumo delle persone. Gli istituti di statistica costruiscono quindi più panieri per diverse categorie di persone. L'indice armonizzato, invece, è calcolato per poter aggregare e confrontare l'inflazione italiana con quella degli altri paesi dell'area dell'euro.
Esistono inoltre indici dei prezzi al consumo che escludono dal paniere alcuni beni e servizi con oscillazioni dei prezzi molto ampie. Si tratta solitamente dei prodotti alimentari, sui cui prezzi influisce il clima, e dei prodotti energetici, ad esempio la benzina o il gasolio. L'inflazione misurata dagli indici depurati da questi prodotti prende il nome di inflazione di fondo (core inflation, in inglese) e può fornire agli economisti informazioni importanti per distinguere aumenti o diminuzioni persistenti dei prezzi rispetto a fluttuazioni temporanee.
Quando la domanda di un bene o di un servizio da parte delle persone aumenta e supera la quantità offerta, il prezzo cresce (le persone sono disposte a pagare di più pur di ottenere ciò di cui hanno bisogno). Applicando il ragionamento all'insieme dei beni e servizi inseriti nel paniere dell'ISTAT, l'aumento della domanda da parte dei cittadini si può tradurre in inflazione. In questi casi si parla, per l'appunto, di inflazione da domanda: significa che in quel momento la richiesta di beni e servizi da parte dei consumatori supera la quantità offerta sul mercato.
L'eccesso di domanda sull'offerta a volte può essere causato da una riduzione improvvisa della quantità prodotta.
L'aumento dei prezzi può generarsi anche nel caso di un aumento dei costi di produzione. In questi casi si parla di inflazione da offerta: la quantità di beni e servizi che desiderano acquistare le persone non cambia, ma si riduce la capacità produttiva o aumentano i costi. Questo può avvenire a causa di diversi fattori, come ad esempio un evento inatteso che rende difficile l'approvvigionamento e la produzione dei beni (una pandemia o una guerra ad esempio) o un aumento dei costi delle materie prime, come il petrolio.
Può accadere che dietro l'aumento dell'inflazione coesistano diversi fattori, sia di domanda sia di offerta. Ad esempio, negli Stati Uniti la crescita elevata dei prezzi nella fase di ripresa post-pandemia (2021-2022), è spiegata da un aumento della domanda (le persone riprendevano a uscire e a consumare anche grazie ai sussidi ricevuti durante il lockdown), ma anche da una diminuzione dell'offerta dovuta alle chiusure per il Covid che avevano ostacolato la produzione e il trasporto di beni in tutto il mondo.
Infine, nel lungo periodo l'inflazione può essere dovuta a un eccesso di moneta in circolazione rispetto ai beni e servizi prodotti: troppi euro a caccia di pochi beni!
Gli effetti dell'inflazione...
L'inflazione elevata riduce il potere segnaletico dei prezzi rendendo più difficili le decisioni di consumo e investimento di famiglie e imprese. Arricchisce e impoverisce le persone a caso, a seconda della condizione in cui si trovano in quel momento. Aumenta i tassi di interesse rendendo più costosi gli investimenti. Nel lungo periodo è associata a una ridotta crescita economica: la torta a disposizione di tutti sarà più piccola.
...sui risparmi
L'inflazione colpisce i risparmi accumulati nel tempo, ne riduce il valore, il potere di acquisto: con i nostri soldi messi da parte potremo acquistare una quantità minore di beni e servizi. Anche i nostri redditi, se non crescono come l'inflazione, avranno un valore reale minore.
In periodi di inflazione, c'è anche un altro fenomeno che riduce i nostri redditi anche nel caso aumentassero insieme ai prezzi: redditi nominali più alti vengono tassati di più. Paghiamo così più tasse, il che comporta che anche se il valore reale del nostro reddito lordo rimane immutato grazie all'adeguamento all'inflazione, il nostro reddito reale netto è più basso. Questo fenomeno si chiama "drenaggio fiscale" o, in inglese, fiscal drag.
...sui debiti
Con l'inflazione non si riduce solo il valore reale dei guadagni o dei risparmi, ma anche quello dei debiti. Per chi è indebitato a tasso fisso e quindi paga ogni mese una rata dello stesso importo, l'inflazione è un vantaggio perché riduce il valore reale dei soldi che deve restituire; inoltre, le rate da pagare non cambiano, mentre i nostri guadagni prima o poi cresceranno insieme all'inflazione.
In caso di mutui a tasso variabile, invece, l'inflazione ha effetti molto più limitati e potrebbe averne di negativi. Infatti, con l'aumento dei tassi di interesse che accompagna tipicamente i periodi di inflazione, aumenta anche l'importo della rata da pagare e il valore del debito non cambia (se i guadagni non crescono subito con l'inflazione, ci si ritroverebbe più poveri di prima almeno per un po' di tempo).
Infine, per chi deve indebitarsi, sia a tasso variabile che a tasso fisso, l'aumento dell'inflazione e dei tassi di interesse comporta un aumento dei costi (e quindi delle rate nel caso dei mutui).
Per riassumere potremmo dire che l'inflazione non è un problema per chi è già indebitato a tasso fisso, mentre è normalmente uno svantaggio per chi si deve indebitare.
Lo Stato è il più grande debitore. Ogni anno emette titoli obbligazionari con cui raccoglie in prestito miliardi di euro per coprire la differenza tra entrate (imposte e tasse) e uscite (la spesa pubblica per la scuola, la difesa, la sanità, le pensioni, ecc.) e per rimborsare i titoli che giungono a scadenza nell'anno. Dunque, per la parte di debito pubblico emessa a tassi fissi, l'inflazione crea un vantaggio per lo Stato perché riduce il peso del debito da restituire.
Tuttavia nel lungo periodo l'inflazione comporta effetti negativi anche per lo Stato: aumenteranno, ad esempio, gli esborsi per le pensioni, la spesa per beni e servizi e la spesa per interessi sul debito.
...sugli investimenti finanziari
Per quanto riguarda i nostri investimenti finanziari dobbiamo ribaltare quanto detto finora per i debitori: laddove un debitore ci guadagna, come nel caso dei debiti a tasso fisso, ci sarà un creditore che perde, e viceversa!
Dunque, chi ha acquistato un'obbligazione a tasso fisso, diventando ad esempio creditore dello Stato o di un'impresa, sarà sfavorito dall'inflazione. Con l'aumento dei tassi di interesse, il prezzo del proprio titolo diminuirà per riflettere il minore valore reale che cedole e rimborso del capitale avranno alla scadenza. Chi invece detiene un titolo a tasso variabile, indicizzato all'inflazione o ai tassi di mercato, sarà invece più protetto in caso di aumento dell'inflazione: la crescita dell'importo delle cedole o del capitale rimborsato a scadenza compenserà in tutto o in parte l'inflazione e la perdita di potere d'acquisto della moneta.
L'aumento dei tassi a causa dell'inflazione può ridurre anche il valore di altri investimenti, come le azioni (ma il discorso non è diverso anche per gli investimenti immobiliari). In questo caso la relazione tra tassi di interesse e valore di queste attività non è immediata: ne abbiamo parlato più in dettaglio in questo articolo.
Infine, anche qui ribaltiamo quanto abbiamo detto per il debito: chi decide di investire una parte dei propri risparmi, ma ancora non l'ha fatto, avrà maggiori possibilità di guadagno rispetto a prima a causa dei maggiori tassi di interesse che si associano all'inflazione.
L'inflazione è una tassa iniqua
Si dice, infine, che l'inflazione è una "tassa iniqua", vediamo perché. Innanzitutto si parla di "tassa" perché riduce per tutti la quantità di beni e servizi che si possono acquistare. Ma soprattutto è "iniqua" perché non colpisce tutti allo stesso modo.
Di solito, l'inflazione colpisce di più chi ha di meno perché le persone più povere consumano una quota maggiore del proprio reddito per acquistare beni di prima necessità (alimentari, energia e quindi trasporti) che sono spesso soggetti a rincari maggiori. Più in generale, l'aumento del costo della vita potrebbe rendere impossibile coprire le spese di cui non si può fare a meno (bisogni di base) con il proprio reddito, costringendo le persone meno abbienti a intaccare i propri risparmi, sempre che ve ne siano.
Se l'inflazione può essere pericolosa, anche il suo contrario, cioè la diminuzione generalizzata dei prezzi, chiamata deflazione, può danneggiare i cittadini e l'economia di un paese: i consumatori potrebbero decidere di rimandare i loro acquisti nell'attesa che scendano i prezzi; i consumi delle famiglie diminuirebbero e, di conseguenza, le imprese potrebbero ridurre gli investimenti e il personale, con un effetto a catena sui consumi e sull'economia (spirale deflazionistica).
Al contrario dell'inflazione, la deflazione può comportare nell'immediato un aumento del potere d'acquisto del proprio reddito e dei propri risparmi; chi è indebitato sarà invece ulteriormente svantaggiato dal calo dei prezzi, proprio perché le somme che deve restituire avranno un valore reale maggiore. Nel lungo termine i redditi sarebbero comunque destinati a diminuire se non a scomparire per la perdita del posto di lavoro o la riduzione del volume d'affari!
Se l'elevata inflazione è dannosa per i cittadini e lo stesso vale per la deflazione, è facile intuire che lo scenario ideale per l'economia è quello di un'inflazione contenuta, stabile e prevedibile. Ma come si fa a preservare queste condizioni? Chi se ne occupa?
Se ne occupano le banche centrali che hanno il compito di tenere sotto controllo inflazione e deflazione, di mantenere cioè la stabilità dei prezzi, attraverso la politica monetaria.
Con la politica monetaria una banca centrale prende decisioni per influenzare la quantità e il costo del denaro nell'economia. A questo scopo, lo strumento che normalmente utilizza sono i cosiddetti "tassi di interesse di riferimento". Aumentando questi tassi, la banca centrale cerca di influenzare tutti gli altri tassi i tassi d'interesse, anche quelli a medio e a lungo termine che le banche commerciali applicano ai prestiti concessi ai propri clienti. Diventa così meno conveniente indebitarsi, perché mutui e prestiti costano di più. Le persone inoltre tendono a risparmiare di più perché aumentano i tassi sui depositi e sugli altri strumenti di risparmio. Di conseguenza, i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese diminuiscono. La domanda si riduce e con essa la crescita dei prezzi. Un aumento dei tassi, inoltre, può influire sulle previsioni di consumatori e imprese sull'inflazione futura (aspettative d'inflazione).
Viceversa, quando l'inflazione è troppo bassa o c'è deflazione, la banca centrale riduce i tassi d'interesse per stimolare la domanda di consumatori e imprese e spingere al rialzo i prezzi di beni e servizi.
Se il principale strumento di politica monetaria consiste nella manovra dei tassi d'interesse, più di recente le banche centrali hanno anche adottato la strategia di intervenire direttamente sui mercati finanziari. Tramite l'acquisto o la vendita di titoli, infatti, la banca centrale influenza direttamente i tassi d'interesse a più lungo termine. Il principio è sempre lo stesso: tassi più elevati raffreddano l'economia e quindi l'inflazione, tassi più bassi stimolano l'economia e fanno risalire l'inflazione al livello desiderato.
In generale, in uno scenario di aumento dei prezzi è ancora più importante accrescere la propria cultura economico-finanziaria per fare in modo consapevole le proprie scelte di consumo, risparmio e investimento.
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